Giovedì, 05 Novembre 2009 17:55

Il nuovo numero di Religioni e Società

Scritto da  Gerardo

Con il titolo Oltre le migrazioni. L'islam in Europa in mutamento, sta per uscire n. 65 di Religioni e Società (settembre-dicembre 2009).
Nel seguito, a modo di anteprima, pubblichiamo l’editoriale, di Arnaldo Nesti (che puoi anche scaricare dalla versione in PDF).



Editoriale
di Arnaldo Nesti


Questo numero di “Religioni e Società” è dedicato alla presenza degli Islamici in Italia in particolare e in genere in Europa grazie ai contributi qualificati sociologi della religione. Ciò sarà ben precisato nelle pagine seguenti da Stefano Allievi. Una presenza emblematica che contribuisce in modo forte a ridelineare il profilo religioso del mondo contemporaneo.

A modo di premessa tuttavia, in conformità con la nostra vocazione editoriale, ritengo importante richiamare l’attenzione sulla recente discussione circa i rapporti tra la Chiesa e il potere politico in Italia tenendo conto anche del pluralismo in atto. I termini della discussione sono connessi alla tempesta che ha investito “Avvenire” il quotidiano della Cei, con le dimissioni del suo direttore Dino Boffo. In questo sfondo Andrea Ricordi ha esposto la sua aspettativa di una svolta sia politica che ecclesiale, postberlusconiana e postruiniana. Sono completamente d’accordo, meriterebbe un lungo articolo per meglio motivarlo e mi riprometto di farlo in un prossimo futuro... Non è mancato poi chi legge l’attuale situazione dovuta all’attuale “disordine” esistente nelle gerarchie della Chiesa che, pur movendo da giudizi molto diversi, convergono nel definire “concordataria” la linea perseguita dalla segreteria di Stato vaticana sotto la regia del cardinale Tarcisio Bertone. In entrambe le analisi, mi riferisco a quanto scrive S. Magister, la linea impersonata da Bertone è vista collidere con quella della conferenza episcopale italiana, ovvero con quanto resta del “progetto culturale” ideato dal cardinale Camillo Ruini quand’era presidente della CEI.

Le due analisi si dividono nell’interpretazione della linea ruiniana. Nella prima essa è liquidata come “clerico-moderata” e data per moribonda. Nell’altra è data invece come validissima e viva. Entrambe le analisi concordano anche nel registrare l’assenza, negli oppositori della linea Ruini, di un “Piano B” capace di proporsi come una seria alternativa. La prima delle due analisi è quella di Gianfranco Brunelli sul numero de “Il Regno”, intitolata: “Caso Boffo. Cattolicesimo politico al tramonto. La condizione nuova del rapporto tra Chiesa e politica”. La seconda è uscita su “il Foglio” di martedì 29 settembre ed è un’ampia intervista di Nicoletta Tiliacos a Sandro Magister. Questa intervista mette anche in evidenza come la linea “concordataria” di Bertone entri in attrito non solo con la conferenza episcopale italiana, ma con le gerarchie cattoliche di altre nazioni, dagli Stati Uniti alla Cina al Vietnam, e sempre per gli stessi motivi. Inoltre, la “realpolitik” bertoniana sembrerebbe andare stretta per la visione di cui è portatore Benedetto XVI.

Questo tipo di analisi, pur interessanti dal punto di vista politico ci lascia assai indifferenti per la carenza di ancoraggio socio antropologico rispetto all’effettivo stato della chiesa con il gap fra credenza ed appartenenza nel mondo cristiano.

Mi piace pertanto segnalare quanto rileva E. Bianchi in “Iesus” dell’ottobre 2009 sullo scisma sommerso denunciato da Pietro Prini (Milano 1999) molti anni fa per cui un numero crescente di cristiani vivono “etsi ecclesia non daretur”. Negli anni più recenti assume risvolti ulteriori. È crescente infatti il numero di coloro che sentono la Chiesa quasi nemica, la percepiscono come ostacolo alla missione evangelizzatrice nel mondo, come una contraddizione rispetto al Vangelo. È un sentimento più forte di quello di Simone Weil che evocava la Chiesa come “grande animale sociologico” di fronte al quale “si fermava e non poteva entrare”.

Non si tratta di richiamare la nuova dimensione pubblica rispetto ai limiti di una religiosità nel suo aspetto esclusivamente spirituale; non si tratta di chiudersi specialmente di fronte all’emergere di nuove grandi questioni etiche e antropologiche, anche con la rinnovata presenza delle religioni non cristiane. Non è con lo zelo neo-crociatesco che si può ottenere il riscatto da una religiosità esangue, quasi visibilità dell’assenza. L’importante è prendere le distanze dal clericalismo di ogni tipo. In un mondo diventato adulto il cristianesimo, come mettevo in risalto qualche mese fa, appare come la religione che rende possibile paradossalmente la fuoriuscita dalla religione, dopo aver contribuito al disincantamento del mondo. Il cristianesimo ha in sé la capacità di secolarizzare se stesso, dissolvendo quella sua forma occidentale che ha rappresentato una sorta di preambolo ad una totale non religiosità dell’uomo moderno. L’uomo adulto si assume la responsabilità del “mondo senza Dio, davanti a Dio”. Nel mare aperto del mondo adulto postmoderno una religione debole che si fa fede (genuina, gratuita, che non ha bisogno di essere giustificata) e testimonianza nel mondo, confondendosi fra credenti e non credenti, o credenti di altra fede, lungi dal condurre ad una sua irrilevanza storica e culturale è invece la dimostrazione della “sapienza della Croce”. Una volta superata l’idea del “Dio tappabuchi” che interviene puntualmente nelle vicende umane, è proprio dove e quando avvertiamo il silenzio assordante di Dio che parla, il Dio nascosto della fede, in quanto il silenzio è l’altro nome di Dio come nota P.L. Giorgi (Testimonianze nn. 421-422,2002). Il processo di secolarizzazione è un’opportunità perché il cristianesimo tornando alla sua originaria ispirazione si faccia fede e dismetta l’abito religioso che per secoli l’ha ingabbiato entro le coordinate culturali, funzionali ad un ruolo storico sociale ormai esaurito.

La nuova offerta di secolarismo devoto da parte di alcune elites intellettuali (sul piano delle tematiche bioetiche, familiari, in materia sessuale e di genere) pare avere un respiro corto anche se ha trovato accoglienza nella maggioranza di governo: vuole dare copertura ideale a programmi politici ispirati di fatto alla riaffermazione di un individualismo egoistico e possessivo, rigidamente chiuso all’altro, al diverso. Volendo superare ogni riferimento al Concilio Vaticano II, quasi un mito del passato, ci si attarda su un’idea di società religiosamente regolata in base a nuove alleanze fra potere ecclesiastico e potere temporale, di fatto incentivando nell’attuale società mass mediatica tendenze, simboli, aspirazioni indotte dal consumismo senza limiti, ignorando le critiche radicali delle grandi encicliche social alle strutture di peccato della globalizzazione capitalistica. “Ci sono ore e stagioni – scrive Bianchi – in cui la sofferenza si fa più forte… cessi la tranquilla sordità alla voce del vangelo”. Quod est in votis.


P.S.

Nei primi giorni di ottobre u.s. migliaia di persone si sono affollate davanti al Palazzo del Congresso di Buenos Aires dove è stata allestita la Camera ardente della “cantora popular” Mercedes Sosa, scomparsa a 74 anni. Il suo canto è stato un segno della militanza ed espressione del dolore e della ingiustizia nel continente sudamericano. Per i militari in Argentina era una spina nel fianco e dovette andare in esilio a Parigi e poi a Madrid.

Mi piace ricordarla, dopo averla incontrata durante un concerto a Madrid. Anche quella sera cantò la versione di “Gracias a la vida” della cilena Violeta Parra, una delle più belle canzoni emerse dalla musica di protesta del Sudamerica. Il concerto, come usava in quel periodo, lo iniziò cantando “Todavia cantamos”, un inno alla resistenza e alla libertà.

Mi sia consentito di associare a questo ricordo triste che il nobel per la letteratura è stato assegnato a Herta Müller, nata nel 1953. Ha “tratteggiato il panorama dei diseredati” in Romania sotto la dittatura di Nicolae Ceausescu “con la concisione della poesia e la schiettezza della prosa. Riparata in Germania per sfuggire alle persecuzioni del regime dittatoriale di Ceausescu è a tutt’oggi considerata la più importante scrittrice vivente in lingua tedesca. Il paese delle prugne verdi' è un 'bildungsroman', unico libro in commercio della scrittrice quasi sconosciuta in Italia. “La poesia - ha detto una volta - è la forma letteraria che più facilmente si diffonde durante un regime dittatoriale sia perché si esprime frequentemente per metafore sia perché è una forma breve più facile da ricordare a memoria”. Ci sono stati momenti, ad esempio gli interrogatori della polizia - ha ricordato la Müller al Festival della letteratura a Mantova lo scorso settembre - durante i quali recitare una poesia tra sé e sé svolgeva per lei, non credente, una funzione molto simile a quella che una preghiera deve avere per un credente.

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